giovedì 4 febbraio 2010

Il fiume(27-12-09)


Durante quelle giornate di un giugno soffocante, la scuola era finita e mi ritrovavo ogni mattina con la ruvida sensazione della roccia sotto i piedi. Alcuni schizzi freddi del fiume inumidivano le mie guance paffute mentre, con un legnetto senz’anima, scioglievo le immagini dei miei ricordi che scorrevano veloci insieme all’acqua cristallina. Le mie trecce color mogano risuonavano alla brezza leggera che mi portavano da lontano le voci di Rosalie, mia sorella, e dei bambini con cui giocava. Un tappeto d’erba verdissima li incorniciava in un quadretto che sapeva d’antico, Rose praticamente identica a me, lasciava i suoi capelli color platino disordinati sul corpo esile.
-kate!- volevano che giocassi con loro, ma il fiume sentiva sempre la mia mancanza quando l’abbandonavo.
Così ogni mattina nel vestitino di lino bianco che la mamma aveva rammendato per me, ascoltavo la voce del fiume che , insieme a quella del vento sembrava suonare la musica che ascoltava sempre mio papà di un certo Debussy. Mi innamoravo delle figure in fuga continua tra un masso e l’altro che il fiume, bonario com’era, mi mostrava. Erano le mie speranze da bambina trasfigurate in realtà del futuro e io sorridevo nell’immaginarmi a nuotare nelle sue acque e fondermi con esso per assaporarne il gusto e farmi travolgere dall’onda di vita che solo lui avrebbe saputo regalarmi.
Alla fine l’amore così grande mi prese fra le mani e mi abbracciò nel nostro restare eternamente insieme.



Quella mattina mi svegliai pesante, la maglietta appiccicata all’addome e un senso di vuoto penetrante. Mi alzai tentoni dal letto cercando di non farmi del male con gli oggetti stranamente disposti nella casetta che mi sembrava diversa da sempre. Alla fine dell’impresa avvertii la sensazione fresca e viscida della ceramica del lavandino.
Quando attivai l’interruttore della luce, un terrore improbabile fece palpitare il mio cuore in maniera disumana. Una sconosciuta allo specchio imitava le espressioni che dovevano essere dipinte sul mio volto. Tastai il groviglio di capelli biondi cercando disperatamente invano le miei trecce mogano solitamente infiocchettate con nastri di seta bianca. Indagai inorridita le curve di un corpo troppo cresciuto per una sola notte di sonno.
Quella ragazza sarà stata sulla ventina, ed io avevo appena nove anni.
In preda al panico corsi fuori dalla baita di legno inciampando sui mobili di cui non ricordavo l’esistenza, poi la luce riflessa sul prato verdissimo, inondò la mia vista per un attimo angosciata nella ricerca della roccia a me famigliare.
Eccola.
Ero fremente dall’idea di cosa avrei visto una volta affacciata sul fiume.
-buongiorno Rosalie-finalmente trovai quello che stavo cercando, la voce di Kate che mi calmò con i suoi soliti racconti.

Parlarono, si ritrovarono, come sempre dai dieci anni dalla morte di Kate.

Maria Cozzupoli

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