giovedì 17 aprile 2014

L'estraneo più estraneo



I buoni e i cattivi,
Angela Carter,
1969, 218 pp., 14;
trad it. di Simona Fefè

Eccomi! Dopo una lunga assenza di letture bulimiche, torno a recensire un libro di Angela Carter, una delle mie preferite, appena concluso. Premetto che essendo la lettura così vicina, sento ancora quel disagio emotivo che lascia il chiudere un libro che hai amato e dunque la mia recensione potrebbe essere velata di romanticismo (Dio me ne scampi!). E questo della Carter l'ho amato davvero. E' un libro difficile e denso e temo dovrò fare dello spoiler per riuscire ad analizzarlo. In questo romanzo che può essere definito di genere fantascientifico post-apocalittico vi sono molti dei temi che affronterà in altri romanzi e racconti, ma anche degli spunti differenti, che lasceranno spazio alla riflessione filosofica sulla parola. Marianne è la protagonista del libro, nonché punto focale della narrazione (sebbene sia svolta in terza persona): in un Inghilterra desolata dopo una guerra (mai raccontata nei dettagli) che ha spazzato via la maggior parte dell'umanità e della cultura, gli unici sopravvissuti sono raggruppati in diversi strati sociali: ci sono in Professori che sono sopravvissuti alla guerra e sono gli unici custodi della conoscenza pre-apocalittica, che vivono in villaggi e ne sono i reggenti. I villaggi vengono costruiti dagli Operai e protetti dai Soldati. Fuori dai villaggi vi sono i Barbari che vengono reputati i "cattivi" dagli abitanti dei villaggi, perché essendo girovaghi di tanto in tanto fanno razzie nei villaggi per procurarsi oggetti, manufatti e vettovaglie. Poi ci sono Quelli di fuori, che sono sub-umani, probabilmente deformi a causa di bombe nucleari della Guerra ancor più selvaggi dei Barbari e temuti da tutti. Marianne vive in un villaggio ed è figlia di un Professore di Storia e in tenera età assiste alla uccisione di suo fratello durante uno scontro con i Barbari, scioccata ma anche attratta dalla figura atavica e ancestrale che era il barbaro, conserverà per sempre l'immagine dell'uccisione di suo fratello. Un'altra caratteristica degli abitanti dei villaggi è che hanno così tanto tempo per studiare e annoiarsi, che molto spesso impazziscono e compiono stragi. La madre di Marianne, infatti, a seguito della morte del figlio si toglie la vita, e dieci anni dopo la tata di Marianne impazzisce e uccide con un'ascia il padre della ragazzina. Tutto quello che amava era andato in fumo, dunque Marianne non si sentiva più a casa e anche la sua stesa identità era incerta; come atto di ribellione alla sua femminilità si taglia i capelli cortissimi. 
"Adesso era proprio brutta e rimirava la sua bruttezza davanti ad ogni specchio provando un piacere violento"
Dopo qualche tempo il villaggio viene attaccato nuovamente dai Barbari e Marianne che vede un Barbaro ferito che si rifugia in un fienile, mossa dalla pietà va a soccorrerlo e qui coglie l'occasione di scappare con lui.
"Era partita con l'intezione di salvare il Barbaro ma ora si trovava ad accettare che a salvarla fosse lui".
Da questo momento inizia la storia travagliata tra Marianne e Gioiello che non è una relazione solo tra loro due: è la rappresenzazione dell'incomunicabilità tra uomo e donna, in una divisione definitiva di genere. E' una storia straziante di amore e odio. "Marianne si trovava in compagnia dell'estraneo più estraneo in cui potesse desiderare di imbattersi."
 Rappresenta la fusione impossibile: tanto che il primo rapporto tra i due avviene tramite uno stupro, il che indica che l'unico contatto possibile tra i due sia possibile tramite la violenza. Anche dopo il rapporto è suddiviso con l'incedere del giorno: quando c'è luce sono lontani, di notte, con il buio e quando i controrni dell'altro si confondo con la notte allora è possibile la fusione dei due corpi, ma mai delle identità. "Non riuscì più a capire dove finiva il buio e dove inziava il suo corpo."
Questa incomunicabilità è un tema su cui Carter insiste soprattutto considerati due fattori: lei e i Barbari non parlavano la stessa lingua e soprattuto quasi nessuno di loro sapeva scrivere, facoltà che condivideva con il medico/santone/sapiente della comunità barbara Donally (probabilmente un ex Professore) che le lasciava degli aforismi quasi chiaroveggenti sulla sua situazione con Gioello.
Un'altro punto su cui insiste è l'apparenza sotto la quale si cela la vera identità, ma che in molti casi si fonda con essa. Lo specchio, tropo ricorrente in tutti i suoi libri, è la superficie su cui si ferma l'apparenza, e nel quale molti dei suoi personaggi stenatono a riconoscersi. Marianne atraverso la bellezza sconvolgente di Gioello riflette su chi siano i buoni e chi i cattivi, cosa significhi l'apparenza, e la ritualità. Descrivendo Gioello, la voce narrante dice infatti:
"L'oscurità si palesava nei contorni alterati del suo volto. Era un'opera d'arte, creata e non generata, un fantastico dandy del nulla, la cui vera natura era stata interamente incasellata nell'aliena e terrificante bellezza di un gesto retorico. La sua apparenza era astratta dal suo corpo e tutto in lui era stato intenzionalmente ridotto al linguaggio dei segni. Era diventato il simbolo di un'idea di eroe."
Ancora sulle apparenze nella voce questa volta della stessa Marianne "Sei talmente bello che non puoi non essere vero [...] Ma penso che a lungo andare, sarò costretta a fidarmi delle apparenze. Quendo ero piccola, giocavamo a buoni e cattivi ma adesso non so più da che parte siano gli uni e gli altri, nè chi siano, e allora che cosa mi resta, se non le apparenze?".
Infine però, dopo travagliate vicende, forse i due riescono a trovare un ultimo seppur effimero contatto.
"Lui sollevò lo sguardo e rimasero a fissarsi fra la meraviglia e il sospetto, come membri sotto mentite spoglie di una cospirazione rimasti all'oscuro dei segnali di riconoscimento, perché a nessuno dei due pareva possibile, né auspicabile, che i loro sensi avessero ragione e che fossero in grado di trovare l'uno nell'altra un impulso alla sopravvivenza in quel mondo ostile".

Marì

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