venerdì 14 dicembre 2012

1Q84, perché secondo me Murakami non si meritava il Nobel

Rieccomi tra i non simbolici due o tre lettori che saranno i fortunati a leggere questo post.
Oggi volevo discutere della meteora, dell'abbagliante astro nel cielo che ha guidato fino ai lettori meno esperti l'ultimo romanzo di Murakami Haruki, 1Q84.
Data la critica molto positiva data da tutte le recensioni lette e ritrovate anche su riviste prestigiose, mi sono avviata giosamente e piena di speranze su questo nuovo libro. Inizialmente ero talmente euforica per averlo tra le mani, da perdonare all'autore alcune lacune e incongruenze, come per esempio quella di spianare un discorso fatto nella mente dei personaggi come un testo scritto: è illogico, e stride fortemente quella che è la nostra esperienza comune ovvero, noi non pensiamo come se avessimo un copione su cui leggere, noi abbiamo pensieri frammentari, che scappano subitanei fatti per lo più di immagini e di associazioni di idee, solo a volte facciamo discorsi nelle nostre teste, ma sono una rarità e non la regola.
Ho voluto anche perdonargli la lentezza delle descrizioni, almeno all'inizio la apprezzavo perchè sentivo di far parte della cultura giapponese: la lentezza, il piacere di rivedere i particolari, e non farsi soffocare da una lettura troppo serrata. Ad un certo punto però, circa a pagina 680 mi sono resa conto che la maggiorparte di queste descrizioni lente e che non dicono niente, servono all'autore per prendere tempo ed elaborare una buona via per non svelare fino alla fine che cosa gli è passato per la mente, e che cosa sta al di sotto di questa benedetta storia! Alla lunga queste descrizioni senza contenuto e senza benefici sulla trama sono un po' pesantine.
Passiamo poi ai personaggi: c'è chi ha scritto che i suoi personaggi sono molto profondi e ben descritti: io però non ho ancora capito quali siano le loro inclinazioni, e per di più mi sembrano persone assurde. Sono troppo perfetti, ed è difficile capirli. Inizialmente ho apprezzato il fatto che Aomame avesse delle abitudini particolari e una vita privata movimentata, ma questo non le ha dato uno spessore. E' come se lo scrittore mi avesse dato le istruzioni: Aomame è bella, magra, fa sesso promisquo e ama un uomo da quando aveva dieci anni.
Anche questa storia d'amore struggente e impossibile, è debole: è debole che questa attrazione provochi tali mutamenti, e se per i più non è una soria debole, mi trovo ad affermare che non mi piace e mi sembra davvero di leggere un manga giapponese.
Parliamo poi di Fukaeri, perché mai una ragazza che non si è sviluppata presenta la femminilità di Pamela Anderson? E poi questo marcare sul suo mutismo, e sulla sua misteriosità l'hanno resa così innaturale ed artificiosa da sembrare un poster attaccato ad un muro.
Mi spiace, ma questo romanzo lo trovo fragile nella trama, nelle descrizioni e nello sviluppo delle relazioni, e nell'approfondimento dei personaggi.
Tutti lo acclamavano per il nobel, io non sono d'accordo. Avrà le sue qualità, ma ha anche molte moltissime lacune.
La sempre graziosissima, M.C.

mercoledì 24 ottobre 2012

Il mondo va veloce, ma io sto indietro.

Non so perché ma più vado avanti e più ho la voglia di tornare indietro. Ma non è quel tornare indietro riferito ad un tempo passato della mia vita, bensì un ritorno ad un tempo più lento, il tempo in cui si aveva un solo giornale al giorno, in cui i libri si leggevano inegralmente, e non si viveva di frasi frammentarie quà e là prese da internet. 
Quel tempo in cui si doveva usare la macchina da scrivere per comporre un testo, e reinserire il foglio tutte le volte che si compiva un refuso. 
Mi piacerebbe vivere nella dimensione in cui il tempo ha il suo giusto peso, e non si è schacciati dalla velocizzazione delle tecnologie, e dal bisogno di informazione incalzante, opprimente, così veloce che non si riesce più a cogliere la realtà come un insieme, ma come dei frammenti che non hanno un vero significato se accostati.
Vorrei tornare a quel tempo in cui non c'era facebook a dirmi come stavano i miei amici, ma li avrei chiamati e incontrati io per saperlo.
Credo che in questa società, io non sarò a primeggiare, starò indietro a osservatrice, farò le cose con i miei tempi, rileggerò i classici sepolti dalla polvere, e costruirò la conoscenza e la mia visione del mondo in maniera lineare ed ordinata. Sarò non al passo coi tempi, ma questi tempi, ad essere sincerca, non sono quelli in cui avrei voluto nascere io.
M.C.

lunedì 24 settembre 2012

Sta sera li odio tutti!



Ma in particolare odio tutti quelli che, armati di sorriso sarcastico , si credono superiori agli altri, non so se ridere o incazzarmi a morte quando ostentano la loro intima convinzione di essere dei veri intellettuali: se ne intendono di musica perché ascoltano Liga, la letteratura è il loro forte dopo aver letto il Piccolo Principe, il cinema poi, sono il loro campo preferito guardando commediole da desperate housewives. Infine si dilungano in orazioni su programmi tv. I finti intellettuali, sarcastici, spocchiosi, ignoranti e per sino con deliri di superiorità, per due 30 ricevuto alla facoltà delle merendine per eccellenza.

martedì 15 maggio 2012

Un giorno ti porterò laggiù.

Joyce Carol Oates

"Indossavano la loro vita come fosse un indumento".
La vita, l'identità, l'amore, di queste cose e molte altre parla il libro della Oates. Ma cominciando dal principio, questa storia è narrata in prima persona da una narratrice che non svelerà mai il suo nome, non a caso, dato che non sa nemmeno lei quale sia la sua identità. Inizia narrando i fatti accaduti alla Syracuse University, parla del suo disperato bisogno mai soddisfatto di essere accettata, amata e ricerca questo amore in persone che non potranno mai darglielo: prima con le superficiali e sempliciotte della Kappa Gamma Pi, attente a sembrare le studentesse modello tra un party e l'altro in cui fanno a pezzi la loro dignità e reputazione. Poi prova con Vernor Matheius, brillante dottorando in filosofia nero, si butta a capofitto in una relazione da scandalo per l'epoca e si prostra, si annulla, cerca di fare la "brava ragazza", perché così in cambio avrebbe ottenuto il suo amore, e sbaglia ancora distruggendo la sua identità per plasmarla a immagine di lui, senza riuscire mai ad ottenere nemmeno l'affetto di quest'uomo. Infine intraprende un viaggio, un lunghissimo viaggio in cui finalmente si ritrova sola, e cresce, forse ritrova se stessa, e insieme a questo l'amore del padre.
La Oates ha un talento che stordisce, tesse trame che ti avviluppano e non ti lasciano chiudere il libro finché non lo hai terminato. Ha delle soluzioni metaforiche che tendono al lirico e talvolta invece un linguaggio quasi osceno. A seconda delle situazioni ha un linguaggio terreno, carnoso e a volte invece vago e fatuo, inconsistente. E' così profondo il ritratto di questa giovane donna che ti chiedi, ogni tanto se non sia proprio tu ad esprimere i suoi pensieri. Da leggere!
M.C.