giovedì 30 gennaio 2014

Ad occhi chiusi


Eri il mio salvagente, ma non m'accorgevo di saper nuotare benissimo. 
E anche in questa notte più buia, ti maledico perché non mi tiri fuori dai guai, non perché mi manca la tua presenza. Dopo tanta sofferenza, forse ho disimparato a soffrire, a legarmi, forse ho disimparato ad amare. O forse non ti ho amato mai. O forse, meglio la forza che c'è in me è inesorabile e spazza i ponti. 
Disprezzo chi piange gli amori passati e cerca in tutti i modi un amore che non c'è più. Vedo anime corrompersi alla degradazione, all'umiliazione di elemosinare affetto da chi le ha lasciate. 
Con queste parole confusionarie, liriche e a tratti proprio brutte, mi lascio andare. Sento lo scorrere degli eventi, ero aggrappata a una superficie che m'accorgo ora essere deformata, mollo la presa e mi lascio andare. Non impazzisco, osservo e valuto, chiudo gli occhi e vivo.

mercoledì 29 gennaio 2014

Sei la mia schiavitù sei la mia libertà


Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.

Nelle mie braccia tutta nuda

Nelle mie braccia tutta nuda
la città la sera e tu
il tuo chiarore l’odore dei tuoi capelli
si riflettono sul mio viso.

Di chi è questo cuore che batte
più forte delle voci e dell’ansito?
è tuo è della città è della notte
o forse è il mio cuore che batte forte?

Dove finisce la notte
dove comincia la città?
dove finisce la città dove cominci tu?
dove comincio e finisco io stesso?

Il vento cala e se ne va

Il vento cala e se ne va
lo stesso vento non agita
due volte lo stesso ramo
di ciliegio
gli uccelli cantano nell’albero
ali che voglion volare
la porta è chiusa
bisogna forzarla
bisogna vederti, amor mio,
sia bella come te, la vita
sia amica e amata come te

so che ancora non è finito
il banchetto della miseria ma
finirà...

N. Hikmet

sabato 25 gennaio 2014

Pictures of You



I've been looking so long at these pictures of you 
That I almost believe that they're real 
I've been living so long with my pictures of you 
That I almost believe that the pictures are 
All I can feel 

Remembering 

You standing quiet in the rain 
As I ran to your heart to be near 
And we kissed as the sky fell in 
Holding you close 
How I always held close in your fear 
Remembering 
You running soft through the night 
You were bigger and brighter and wider than snow 
And screamed at the make-believe 
Screamed at the sky 
And you finally found all your courage 
To let it all go 

Remembering 

You fallen into my arms 
Crying for the death of your heart 
You were stone white 
So delicate 
Lost in the cold 
You were always so lost in the dark 
Remembering 
You how you used to be 
Slow drowned 
You were angels 
So much more than everything 
Hold for the last time then slip away quietly 
Open my eyes 
But I never see anything 

If only I'd thought of the right words 

I could have held on to your heart 
If only I'd thought of the right words 
I wouldn't be breaking apart 
All my pictures of you 

Looking so long at these pictures of you 

But I never hold on to your heart 
Looking so long for the words to be true 
But always just breaking apart 
My pictures of you 

There was nothing in the world 

That I ever wanted more 
Than to feel you deep in my heart 
There was nothing in the world 
That I ever wanted more 
Than to never feel the breaking apart 
All my pictures of you

giovedì 23 gennaio 2014

Che tu sia per me il coltello

Immagina delle onde elettromagnetiche che si espandono a cerchi concentrici, ma invece di essere invisibili sono corporee, affilate come coltelli, leggere, ma allo stesso tempo totalizzanti: che avvolgono e si infilano sotto i vestiti, sotto la pelle tagliando la carne, l'anima, l'energia vitale. Questo è ciò che provo ad ascoltare gli archi, questo è il motivo per cui ho messo una violinista come protagonista nel mio primo romanzo.

sabato 11 gennaio 2014

Quella maledetta bottiglia

Altro raccontino eliminato dalla scelta


Fiotti di acqua incontenibile sgorgavano e a traboccavano dalle finestre, rumore di vetri che si incrinano, mattoni che franano. Prima che potessi formulare un pensiero l’acqua era dappertutto: in bocca, negli occhi, nei polmoni.
La sera prima avevo spento la tv dopo aver guardato una puntata di un telefilm noiosissimo e assurdo, e mi ero addormentata con una sensazione strana al petto. Come sempre, quando vivi una situazione perturbante, qualsiasi elemento esterno ti riporta lì, e nella puntata in questione c’erano abusati cliché di coppie felici e amori non corrisposti. Niente di originale, sia chiaro, ma ricordava la mia di situazione.
Mi alzai la mattina dopo e come tutti i giorni raggiunsi la biblioteca dove studio: una teca di vetro immersa in un parco.
Un’ora e mezza dopo alzai lo sguardo dal libro che stavo leggendo e dei riccioli biondi catturarono la mia attenzione. Vidi una ragazza con occhi azzurri, pelle molto chiara e questi boccoli che contornavano il viso, tutta la figura rivolta verso di me aveva un ché di angelico, in quell'istante sentì qualcuno che aveva posato la mano sulla mia spalla, alzai lo sguardo e lo vidi: il sorriso a mezza luna che sembrava strapparmi il cuore dal petto ogni volta che si apriva.
«Ciao Marco»
«Hey come va? Ci prendiamo un caffè?»
«No adesso, non p…»
«Scusa, un attimo. Hey Elena! Quanto tempo» aggiunse e si avvicinò al tavolo della ragazza con i boccoli d’oro. Da quel momento in poi era come se fossi sparita. Dico proprio sparita, nel vuoto, nel nulla. Buio totale. Si susseguirono giornate in cui parlavo con lui circa cinque minuti, prima che Elena comparisse. Il cuore, i sogni ad occhi aperti, la storia della nostra vita, tutto stava andando a rotoli, almeno la vedevo così in quel momento. Vedevo il muro della mia vita perdere pezzi, sgretolarsi, e insieme a lui tutte le immagini di me.
Poi mi accorsi una mattina che Chuck, proprio lui, il personaggio più viscido di tutta la storia dei telefilm, era al bancone della biblioteca a concludere un prestito per un’anziana signora, sul momento non mi sembrò troppo strano. Non mi sembrò strano nemmeno sentire me stessa chiedergli dei consigli di cuore: dato che lui era innamorato di una tizia che stava per sposarsi, mi sembrava abbastanza ferrato sul tema degli amori non corrisposti.
Con l’onda di capelli ingellata e un sorriso obliquo, mi disse che secondo lui l’unico modo per riprendermi Marco era eliminare Elena e lui sarebbe stato dalla mia parte se avessi voluto procedere. Aveva un piano.
Ero interessata, non mi ero mai sentita così vuota, umiliata e arrabbiata: ero disposta a tutto pur di riaverlo. Quindi io e Chuck cominciammo a discutere del piano: per prima cosa era necessario scoprire dove abitasse Elena, e per questo motivo quella sera la seguimmo fino a casa.
Eravamo lì io e Chuck, intirizziti dal freddo, le dita blu, ma avevamo un piano da seguire: avremmo piazzato dell’esplosivo sulle tubature della casa (no non mi sembrò strano nemmeno questo) e al momento opportuno avremmo detonato le bombe e inondando così l’intero palazzo.
Senza nemmeno rendermene conto eravamo già sottoterra a piazzare esplosivi, ma non sapevamo esattamente cosa sarebbe successo. Incredibile, nel giro di un giorno ero passata dall’essere la ragazzina sfigata e col cuore spezzato, a una stratega lucida e fredda.
Il giorno dopo, un altro giorno uguale tra quei giorni identici, Marco ed Elena erano seduti al tavolo di fronte al mio abbracciati e qualsiasi cosa facesse l’uno, l’altro non interrompeva mai il contatto fisico. Lei era così perfetta da spezzarmi, non riuscivo a leggere due righe di seguito, mi muovevo in continuazione senza trovare una posizione comoda. Alla fine, esasperata, uscii per prendere una boccata d’aria. Chuck era lì con una sigaretta in bocca.
«Che c’è nervosa per sta sera?» mi chiese. Non risposi e andai dritta verso il parco, sicuramente camminare in tondo per un po’ mi avrebbe calmata, forse.
E invece no.
Quando tornai dentro, vidi lo sguardo di Marco verso Elena: era uno di quelli che puoi solo sperare di ricevere nella vita. Mi mozzò il fiato, una tenaglia mi strinse la gola, la testa girava, ma poi mi sentii afferrare da Chuck che mi portava di peso dove avremmo dovuto essere.
Quando Marco ed Elena arrivarono al portone della palazzina il cuore mi si fermò. I due scomparvero nella porta d’ingresso, e io non potevo vederli morire, non potevo veder morire lui. Riuscii a divincolarmi dalla presa di Chuck e quando li raggiunsi erano ancora sul pianerottolo davanti a casa di Elena. Gridai di correre via, urlavo disperata e cercavo di tirarli via da lì, ma non mi davano ascolto quindi scappai e quando mi volsi un’ondata d’acqua inarrestabile si riversò su di me.
L’acqua che mi scivolava sul collo e sulle guance era fredda, aprii gli occhi e vidi il collo della bottiglia sopra di me e il suo contenuto sulla mia faccia.
Mi alzai e come tutte le mattine raggiunsi la biblioteca. Mi sedetti e la vista di quei riccioli biondi mi folgorò.




Un tipo sveglio

Raccontino che ho scritto per il mio corso di scrittura creativa, che non ha passato la selezione tra altri due e quindi ripropongo qui.

Gocce di pioggia cadevano dall'alto come proiettili su una bara nera e lucida, con sopra sparsi fiori rosa e bianchi. Attorno teste nere su giacche grigie. Poi Jared alzò lo sguardo verso l’alto, i suoi occhi brillarono alla luce riflessa nella pioggia.
«Fai qualcosa!» Gridò «Ti prego, riportala da me» disse con la voce incrinata e si accasciò in ginocchio. Le altre persone lo guardarono sconcertate, qualcuno tirò su col naso. Poi la bara scomparve nel terreno.
Qualche giorno prima Jared stava scrivendo qualcosa sul diario alla scrivania. Ogni tanto alzava la testa e si guardava in torno con aria furtiva. Si alzò a mettere su il caffè, poi tornò al tavolo, la sua attenzione sembrava vacillare tra il diario e i fantasmi che inseguiva con lo sguardo. La puzza di bruciato sembrò portarlo alla realtà: corse alla macchinetta, ma ormai era inutilizzabile. Furioso, buttò tutto nella spazzatura e uscì da casa.
Quando raggiunse il bar che frequentava ogni mattina, si illuminò scorgendo Julia che sorseggiava un caffè leggendo il giornale.
«Ciao Amore!» esclamò lei.
«Buongiorno» disse lui, fermandosi quasi subito, interdetto. Poi si sedette al tavolo con lo sguardo perso nel vuoto.
«Ma cosa c’è che non va in questi giorni?»
«Non so, ho una strana sensazione, ma nulla di ché davvero non preoccuparti!»
«Strana come? Sei così distratto... Sai che puoi parlarmi di tutto»
«Mah non so, mi sembra di essere Neo il protagonista di Matrix, l’hai visto no?»
«Sì sì»
«Si ecco, mi sembra che nella mia vita ci sia qualcosa di sbagliato, ma non so spiegarti bene cosa. Per esempio, non ti è mai capitato di trovarti in un luogo senza ricordarti come ci fossi arrivata? Come in un sogno: non so sempre perché sto per dire qualcosa, ma poi la dico lo stesso...»
«Si, certo a volte mi capita, ma è per via dello stress, a volte sono così presa a pensare ad altro che non so com’è che faccio certe cose, magari anche tu sei troppo stressato sul lavoro. »
«Ma tu non hai mai la sensazione che la tua vita sia stata messa un un binario dal quale è impossibile deragliare? Ogni tanto penso di non avere il controllo della mia vita. Ma forse sono solo stanco. » Non appena pronunciò quest’ultima frase sbarrò gli occhi
«Di nuovo, ecco! cosa ti dicevo?»
«Cosa? »
«Proprio adesso, non volevo dire che fossi solamente stanco eppure l’ho detto lo stesso» L’espressione si fece prima stanca, abbattuta, poi però si scosse come se gli fosse venuta in mente un’idea.
«Ti ricordi cosa hai fatto questa mattina, prima di venire qui? »
La domanda la sorprese, poi con un leggero rossore affermò «Certo che mi ricordo, Jared! Che domande!»
«D’accordo, lasciamo perdere, non voglio turbarti, risolverò la cosa a modo mio.»
Uscì di corsa dal bar, pioveva e le strade erano scivolose, si fermò sul ciglio della strada poi sorrise e si lanciò nel traffico, l’impatto con il taxi sarebbe stato inevitabile se il conducente non avesse sterzato andando a finire in un cassonetto dei rifiuti.
Jared si alzò ancora intero e soddisfatto, non aveva notato che Julia era con i palmi delle mani schiacciati sul vetro del bar, sconvolta. Quando vide che Jared era ancora intero, corse da lui e cominciò a insultarlo a gridare e mollargli ceffoni. Lui la trasse a sè divertito, le sussurò qualcosa all’orecchio e poi scomparve in un vicolo.
Quando raggiunse il suo ufficio, al decimo piano di una palazzina di venti, dopo aver sistemato la valigetta accanto alla scrivania, essersi sfilato la giacca e allentato il nodo della cravatta, afferrò un pennarello e raggiunse il bagno. Ancora con un sorriso sulle labbra si mise a scrivere qualcosa sul vetro e uscì.
“Sta a vedere”
Aprì la porta che dava sulla stanza del capo, l’unica le cui finestre erano così ampie da occuparne tre lati. Era vuota, quindi si avvicinò alla finestra e vi appoggiò una mano sopra. Poi si decise ad aprirla e scavalcarla.
Si trovava ora appiattito al muro del palazzo, con occhi spiritati e il sudore grondava dappertutto, tremava mentre pronunciò quelle che avrebbero dovuto essere le sue ultime parole.
«So di non essere pazzo, so che esisti, qualsiasi cosa sia scrittore, autore, macchina, Dio, se ho ragione sopravvivrò.» disse e si lasciò cadere dal tetto. Un urlo proveniente dalla strada squarciò il silenzio era Julia che si accasciò esanime.
Jared volava verso il terreno ma la caduta venne attutita da un dehor proprio sotto il suo ufficio, il suo corpo venne sblazato su un’auto. Nessun movimento, ma era ancora vivo. L’ambulanza che arrivò dieci minuti dopo lo portò in rianimazione. Julia rimase lì in strada, coperta da un lenzuolo bianco.