mercoledì 6 luglio 2016

Mancarsi


Beh ci vorrà un po' di coraggio per questo. Torno qui, sul mio "diario di bordo", perché è da qui che sono scesa qualche anno fa, dal momento in cui ho deciso che non avrei più sofferto per amore, dal momento in cui ho deciso di chiudere me stessa dietro alla porta piena di luce e di ricordi di cui parlavo in un altro post.
Come al solito, e come mi sono già accorta in passato, tendo a nascondermi, ad abbandonare me stessa in nome della "felicità" dell' "amore", che poi queste parole e questi sentimenti per me, ormai, sono dei vuoti di significato. Non perché non sia felice: non sono mai stata più serena di così, ma perché in nome di questa serenità ho chiuso tutto, ho murato viva Marina, ho buttato la chiave e ho smesso di provare dei sentimenti autetici.
Poi è arrivato il buddismo. Vi ho fregati, eh? Qui di solito avrei scritto: e poi è arrivato "lui", e invece no. E' arrivato il buddismo che con la sua filosofia e la forza della verità che insegna, mi ha lentamente, e incessantemente, avvicinata sempre più a quella porta.
Nel buddismo esiste un termine per questo "Hosshaku Kempon" e significa "liberarsi del provvisorio pe rivelare l'originale", e nel momento in cui ho deciso farlo ho avvertito una fessura di questa porta aprirsi.
Ho visto cos'era provvisorio. E cos'era? mi chiederete voi. Era la mia vita. Tutto quello che stavo facendo in quel momento: rincorrere cose che non volevo, compiere azioni per abitudine, astenermi dallo scrivere, dal pensare, dal riflettere, andare avanti per inerzia, autoconvincermi di essere serena, di aver visto cosa fosse la mia vita e come dovesse essere da qui a vent'anni; essere passiva in definitiva. Era supefluo la scatola in cui ho messo la testa da tutta la vita, questa prima di aver chiuso me stessa dietro la porta. Sì ero chiusa là dentro e in più avevo la scatola in testa. Buffo eh? Cosa può fare una religione, una filosofia, il daimoku.
Avevo promesso a me stessa di non permettere mai più a nessuno di farmi soffrire, ma per farlo avevo rinunciato alla mia parte malinconica, la mia parte oscura, come dicevo un tempo. Adesso questo termine mi fa sorridere, ma, alla fine di tutto, è un termine riuscito se si pensa che quella parte di me la tengo sempre nascosta, al riparto dagli sguardi altrui.
Poi ho cominciato a fare Hosshaku Kempon, e oltre a riaprire quella porta, come ho già detto, ho fatto in mille pezzi anche questa scatola. Era un paraocchi, probabilmente, che non mi permetteva di vedere una parte di me completamente sepolta da strati di esperienze, pensieri e giudizi. Ho deciso di romperla per la sincerità, la verità di cui mi sono sempre fatta baluardo.
Devo dire, però, che ci si sente bene, ci si sente liberi dopo aver tolto i paraocchi, per quanto la vista possa spaventare, mi sarei pentita di più se non avessi visto affatto.
E' dura riprendere il filo del discorso. Perché sì, sono cambiata, sono maturata (anche se non troppo) ma in fondo sono sempre quella ragazzina di cui avete letto fin ora, e adesso sto ricomponendo tutti i pezzi di me che ho lasciato per strada: a partire proprio da qui, dal mio diario di bordo, dai miei sfoghi e dalla scrittura che parte da me, e deve partire da me per essere autentica, perché possa dire qualcosa a chi legge. I raccontini sterili che non contengono nemmeno un pezzetto dello scrittore che li ha partoriti non sono che un mero esercizio di stile.
La ritrovata me,


Marì

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