martedì 24 settembre 2013

Gatsbies! Excursus 1974-2013



Nel 1974 Francis Ford Coppola scrisse la sceneggiatura per la trasposizione del Great Gatsby diretto da Jack Clayton. Nel 2013, invece Baz Luhrmann presenta al festival di Cannes la sua nuova versione di Gatsby nata, secondo quanto rilasciato in un’intervista in quella sede, dalla riscoperta del capolavoro della letteratura americana avvenuta una decina di anni fa.
Il film di Clayton si apre sulla dimora vuota di Gatsby, sulla ricchezza barocca e sterile dei suoi oggetti. La solitudine di quelle stanze è come se facesse presagire quello che avverrà alla fine: le numerose e folli feste organizzate da Gatsby svaniranno nel vuoto dopo la sua morte, e la sua ricchezza, lo sfarzo saranno solo oggetti abbandonati poiché Gatsby è un personaggio tragicamente solo, che non riuscirà mai ad avere degli affetti autentici, a parte quello di Nick il narratore della storia.
Il Gatsby del 1974 ha il pregio di aver ricostruito in maniera accurata lo spirito e l’ambientazione degli anni venti, e di aver cercato di attuare una trasposizione praticamente “totale” del capolavoro di Fitzgerald mantenendo alcuni dialoghi e la sequenza narrativa praticamente intatta, se si fa eccetto per alcuni particolari o per la storia tra Nick e Jordan, praticamente assente sulla pellicola. Forse questo tentativo di rendere per intero il romanzo ha l’effetto di rallentare e dilatare la narrazione, in modo tale da provocare insofferenza nello spettatore. Inoltre la soluzione di restituire la voce narrante con la voce fuori campo di Nick, risulta un po’ pesante e fin troppo invadente nell’economia del racconto.
Anche la scelta e l’interpretazione degli attori ha i suoi aspetti positivi e negativi. In primo luogo, la scelta di Mia Farrow è stata molto pertinente, sia come struttura fisica, sia per la recitazione che restituisce il suo personaggio in maniera fine e fedele; riesce a trasmettere la sua aria di inconsapevolezza nei confronti della vita, la sua inanità nell’azione: il lettore e lo spettatore ha la continua sensazione che Daisy sia trasportata dagli eventi, ed è incapace di prendere una decisione che sia in favore di qualcun altro, accecata dal suo egoismo e dal bisogno di stabilità economica ed emotiva. Viene infatti chiamata “la ragazza d’oro”, non solo a mio avviso, perché ha sposato uno degli uomini più ricchi d’America, ma perché il denaro, l’oro è l’unico propulsore per le sue scelte. Infatti Daisy si concede a Gatsby e decide di intraprendere una relazione amorosa con lui perché finalmente è diventato miliardario, ma non è così sicura di voler abbandonare il suo sicuro nido d’oro, soprattutto nel momento in cui scopre che Gatsby non è altro che un gangster che si è arricchito con l’inganno.
La scelta di Robert Redford, invece, per quanto fisicamente aderente alla descrizione del personaggio, lascia perplessi per l’interpretazione di Gatsby. Di lui infatti, gira la voce che abbia ucciso un uomo, che si sia fatto strada per non aver avuto scrupoli, quindi si immagina che sia un uomo volitivo, forte e pieno di presenza fisica. Redford, invece, appare come un uomo efebico, debole, e la passione che prova per Daisy, l’ossessione che ha spinto il personaggio a costruire quel paradiso roccocò di denaro per conquistarla, sembra essere meno struggente, quasi fosse una sorte inevitabile cui si sia dovuto adeguare perché non poteva fare altrimenti.
La scelta, invece, del personaggio di Wilson interpretato da Scott Wilson, rende perfettamente l’immagine dell’inetto che viene disprezzato dalla moglie perché non può offrile la vita che invece le fa vivere Tom; che infine impazzisce per il dolore della sua morte, poiché autenticamente innamorato di lei.
Nel complesso il film, per quanto fedele in molte sue parti, non riesce a restituire la struggente drammaticità di Gatsby, in primo luogo, e nemmeno la vacuità ed effimera atmosfera di quegli anni, che dapprima incuriosisce Nick e che poi finisce per disgustarlo, tanto da essere costretto a tornarsene nell’Ovest. Per lui, infatti l’Est rappresenta la dissoluzione e l’assoluto egoismo dei ricchi che distruggono le cose e poi pretendono che siano gli altri a ripulire.
Nella versione di Luhrmann, si ha pure il tentativo di adattare completamente la pellicola al romanzo, attraverso la ricostruzione della trama in maniera ancora più precisa della versione precedente, escludendo solo qualche episodio per accentuare l’effetto drammatico della scena. Anche qui è stata utilizzata la voce narrante fuori campo di Nick, che è ancora più esasperante e invadente della versione del 1974, perché commenta e spiega le situazioni che scorrono sullo schermo come se lo spettatore non avesse gli strumenti critici per comprendere una sequenza narrativa.
L’operazione che compie Lurmann è quella di rendere il capolavoro di Fitzgerald in chiave post-moderna introducendo colori sgargianti, ambientazioni costruite con la grafica digitale, e l’utilizzo di musiche moderne nella diegesi della storia, creando così un effetto straniante su quello che lo spettatore vede: cioè una storia ambientata negli anni venti, accompagnata con la musica che ascolta tutti i giorni.
Con questa tecnica, Luhrmann cerca di estremizzare i temi del romanzo: così la sfrenatezza di quegli anni e la ricchezza poco raffinata di Gatsby si trasformano in feste esagerate al ritmo del rap di Jay-Z, Beyoncè e will.i.am, che secondo la mia opinione, più che scena da film sembrano essere i video clip delle canzoni. Il problema della scelta della musica qui è che invece di avvicinare lo spettatore a quel mondo utilizzando le musiche che conosce, si ottiene invece un effetto di allontanamento e straniamento nella scarsa verosimiglianza dell’ambientazione storica. L’operazione di modernizzazione che lo stesso autore aveva operato sul suo capolavoro Romeo+Juliet, era stato un lavoro radicale e sicuramente molto più riuscito di questo: lì, infatti l’intera tragedia shakespeariana viene ambientata ai giorni nostri, e quindi l’utilizzo di soluzioni modernizzanti non viene percepito come un errore agli occhi dello spettatore. Nel Grande Gatsby invece, la smania di sorprendere, coinvolgere e stupire, finisce in un salto nel vuoto e le parti che avrebbero dovuto essere le più spettacolari, a mio avviso, sono le più ridicole e prive di forza. Forse perché ormai, lo spettatore del 2013 è abituato ai video clip spettacolari, e di certo non viene sorpreso dagli spettacoli pirotecnici di Luhrmann.
Quello che stona ancora maggiormente sono le ambientazioni fantastiche in cui immerge la storia: la villa di Gatsby si trasforma. in un castello delle fiabe, disegnato tramite grafica digitale, e arredato all’interno come una villa moderna; il prato che avrebbe dovuto condurre la villa alla casetta di Nick diventa un surrogato della foresta Amazzonica. L’esagerazione punta, ovviamente ad ingigantire la ricchezza e lo sfarzo in cui viveva Gatsby per sottolineare quanto amore provasse per Daisy che lo ha spinto a costruire tutta questa magnificenza pacchiana. Oltre alla musica e alle ambientazioni, Lurhmann introduce paradossi storici: ad esempio inserisce un gruppetto di riccastri di colore che girano per la città a bordo di un’auto guidata da un autista bianco, oppure usa come dive delle feste delle ballerine anch’esse di colore, quando all’epoca non era permesso loro di stare al di fuori dello spazio domestico, come serve.
Premesso quindi, che nel caso del Grade Gatsby la trasformazione della storia in chiave post-moderna, a mio avviso, non ha restituito lo spirito dell’epoca; invece la scelta di Leonardo di Caprio come interprete di Gatsby si è rivelata la più riuscita. Di Caprio si dimostra essere un talento magistrale e qui riesce a restituire tutte le contraddizioni di Gatsby: è un uomo forte e senza scrupoli che è riuscito a crearsi una posizione favorevole dal nulla, anche se per realizzare il suo sogno americano è dovuto ricorrere alla carriera criminale; nello stesso tempo è colui che è stato spinto a tutto questo dall’amore di una ragazza frivola e senza veri sentimenti. In mezzo a tutti coloro che partecipavano alle sue feste perché erano mondane, e ai suoi collaboratori che lo rispettavano e lo cercavano finché hanno potuto ricavarne guadagno, lui era l’unico con dei sentimenti puri, con la forza romantica della speranza. Ed è per questi sentimenti buoni e per il candore che conserva nonostante sia invischiato in traffici loschi, che Nick si lega molto a lui ed afferma che lui sia migliore di tutti gli altri messi insieme. Leonardo di Caprio riesce ad impersonare tutte queste contraddizioni: riesce ad essere l’uomo aggressivo e pieno di passione durante la discussione con Tom in albergo, e l’uomo fragile ed insicuro che chiede il parere di Nick su se stesso durante ila loro traversata in macchina, riesce ad essere l’uomo la cui intera vita dipende da un cenno o da un apparente sentimento provato da Daisy.
La scelta degli altri attori non appare tanto oculata: Daisy interpretata da Carey Mulligan, non restituisce la frivolezza e le contraddizioni della Daisy su carta, è un personaggio piatto e senza rilevanza scenica. Il Tom interpretato da Joel Edgerton, invece risulta essere molto pertinente sia alla descrizione fisica, perché è un uomo forte e prestante, sia alla descrizione psicologica come forte, irascibile e volubile.
Nemmeno questa versione cinematografica restituisce appieno lo spirito profondo del romanzo. Il pensiero che ho formulato in merito è che forse il capolavoro di Fitzgerald, nonostante le sue velleità cinematografiche, rimane un oggetto così complesso e perfetto nella forma in cui è stato confezionato che una sua trasposizione perfetta non è possibile senza cadere nel banale o nel ridondante.

Maria Cozzupoli

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