lunedì 30 settembre 2013

La vita e i suoi paradossi_La scopa del Sistema DFW




Recensione.
La scopa del Sistema
David Foster Wallace
2012, 558pp, 15€
Traduzione it.di Segio Claudio Perroni

Comincio subito col dire che questa mattina mi sono cimentata nell'aggiornamento della pagina dedicata a questo libro su Wikiquote, perché a) era abbastanza scarna e b) ho preso una miriade di citazioni dal libro, alcune davvero esilaranti e mi sembrava giuso renderle pubbliche. Il link alla pagina lo trovate QUI .
Che dire di questo mastodontico, complessissimo, intricato tassello della letteratura americana e mondiale? Per prima cosa dico che appena finito mi è presa la smania di volerlo rileggere daccapo, ma, frenati questi istinti da maniaca-complusiva della lettura e conscia anche del fatto di averne altri quattro da terminare, mi sono limitata a rivedere tutte le citazioni, appunti e note prese durante la lettura per cercare di ricostruire il filo del frammentato mondo narrativo che Wallace costruisce. 
Questa affermazione già stride agli occhi e mi fa venire voglia di smontarla (il libro è così intessuto di filosofia, che ti viene voglia di filosofeggiare per ogni cosa), perché Wallace a tutti gli effetti non costruisce un mondo narrativo, quello che ho pensato io è che Wallace, da scrittore post-moderno e meta narrativo alle estreme conseguenze, voglia dimostrare attraverso questo romanzo le teorie che vi sono contenute. Qui, infatti, viene sviluppato il pensiero secondo cui la realtà e la nostra esperienza esistano solo nella misura in cui sono raccontate, e cioè che tutto, compresa la vita stessa sia un racconto. Nel suo romanzo Wallace mette in scena un doppio paradosso: da un lato sottolinea marcatamente la dimensione narrativa della vita, dall'altro costruisce un romanzo che sfugge allo sguardo voyeuristico del lettore ed è inintelligibile come la realtà stessa, come se fosse una finestra sul mondo. In questo modo da un lato afferma che la vita è narrazione, e dall'altro che la narrazione coincide con la vita e quindi è fuggevole esattamente come questa.
Tralasciando, comunque, questi paradossi filosofici che costituiscono comunque il filo conduttore di tutto il libro, vorrei soffermarmi sul romanzo in sé. La protagonista, Lenore Beadsman è una ragazza di 24 anni che ha l'ossessione di non sentirsi padrona di sé e delle scelte che fa e per questo, nonstante sia figlia di una delle famiglie più ricche di Cleveland ha deciso di lavorare come centralinista per il gruppo editoriale Frequent&Vigorous. Di lei Wallace costruisce una personalità complessa e affascinante, fatta di elucubrazioni, pensieri, innocenza e inconsapevolezza delle caratteristiche assolutamente positive che fanno innamorare un po' tutti i personaggi maschili della storia. Di lei colpisce, almeno a me, la sua prolissità nei ragionamenti cerebrali, che poi ha un corrispettivo mutismo e fuggevolezza nelle questioni sentimentali. Lenore appare un personaggio gentile e disponibile, ma a volte anche crudele nei confronti di Rick Vigorous, suo amante che letteralmente la idolatra, crudele perché nella tutela della sua più totale libertà si rifiuta costantemente di dare conferme all'amato del suo amore, mai una volta pronuncia quello che sente nei suoi confronti e altresì sfugge a qualsiasi classificazione del loro rapporto. Anche per questo Lenore mi sembra una persona reale: qualcuno i cui pensieri e sentimenti più intimi sfuggono anche al controllo dell'autore, nonchè dio dell'opera. Rick Vigorous è un personaggio che muta all'interno del romanzo, ma non progredisce, anzi: man mano che si va avanti la parabola della sua stabilità mentale precipita inesorabilmente verso il collasso a raggiungere gli apici negativi della paranoia. Egli è infatti ossessionato da Lenore, vorrebbe possederla per colmare anche (supposizione mia) i suoi complessi di inferiorità derivanti dalla sua conformazione fisica non proprio ideale, come si autodescrive il personaggio infatti:
"So di essere alquanto nevrotico. So di essere possessivo. So di essere capriccioso e vagamente effeminato. Privo di mento, non alto né robusto, roso da una calvizie ormai non più solo incipiente [...] e altresì so di essere inadeguato sessualmente"
Qui è di dovere precisare che l'intero libro è disseminato di personaggi folli o assurdi, e di psicologi che sono più folli ed assurdi dei loro pazienti, che a mio avviso costituisce una critica non molto velata dell'albo degli psicanalisti in genere come fenomeno esploso in quegli anni. Infatti sembrava che chiunque in America avesse uno psicanalista, a quiei tempi.
Inoltre, quello che mi ha sorpreso nel leggere le numerose recensioni sul web del libro non fanno menzione della dimensione assurda che sconfina nel fantastico nel contesto del romanzo: a partire dal fatto che Cleveland è stata ricostruita sulle forme dell'attrice Jayne Mansfield, poi dalla costruzione del DIO (Deserto Incommensurabile dell'Ohio), in inglese GOD (Great Ohio's Desert) voluta dal governatore della città perché fosse "un punto di riferimento primordiale per le buone genti dell'Ohio. Un luogo da temere e amare. Un luogo selvaggio. Qualcosa che ci rammenti contro cosa abbiamo lottato e vinto. Un luogo senza centri commerciali", ma poi anche solo dall'ombra che ogni giorno fagociata il palazzo in cui lavora Lenore, la cui descrizione è così reale da poterla paragonare ad un essere vivente, oppure l'uccellino di Lenore Vlad L'Impalatore che di punto in bianco comincia a parlare, ripentendo in maniera ragionata e a volte non precisa le diverse frasi che ha sentito (grazie a un misterioso composto scoperto dalla ditta del padre di Lenore), commentando così in maniera ironica ciò che sta capitando in quei frangenti.
L'ironia e il vero e proprio sarcasmo dominano l'intera scena, non si può leggere il libro senza "slogarsi la mascella dal ridere" come disse una volta un mio amico, è un'ironia dissacrante, irrispettosa, per niente "politically correct", che fa sentire anche un po' in colpa menre si ride sguaiatamente delle sventure altrui e che è la cifra stilistica dell'autore. In un'intervista riportata su Minima&Moralia ha dichiarato:

"nella mia famiglia funziona molto così. Fra noi comunichiamo quasi soltanto tramite battute di spirito. Fondamentalmente, non facciamo altro che raccontarci barzellette, il che a un certo punto diventa abbastanza strano. È molto divertente quando sei piccolo, ma quando ti ritrovi adulto e cerchi di parlare di qualcosa di serio, ti rendi conto che è un modo un po’ insidioso di affrontare le cose."

Ed è esattamente come comunica Lenore: non dice quasi mai le cose direttamente, le allude, ci gira intorno, fa battute per farle capire.
La stessa ironia la usa per mettere sotto accusa l'intero sistema culturale contemporaneo. Poco sopra l'ho definito uno scrittore "postmoderno", e in effetti nel suo romanzo vi sono molte di queste caratteristiche, compresa la presenza quasi ossessiva della televisione, ma in questo caso la sua non è una mera presentazione del fenomeno, ma (a mio avviso) una feroce accusa contro la cultura di massa e in particolare contro gli show televisivi interessati solo al profitto e per nulla ai contenuti. Ma ancora più violenta è le critica verso le istituzioni religiose, brillantemente resa a mio avviso con la speculazione da parte di una sedicente comunità religiosa (fornita ovviamente di show televisivo) sul povero e troppo chiaccherino Vlad L'Impalatore innalzato a messaggero di Dio e a cui durante lo show si cerca di far dire ai telespettatori "tutte le offerte sono detraibili dalle tasse", il ché è a mio avviso esilarante ma anche ferocemente coraggioso.
Oltre a questo il romanzo presenta anche una dilatazione temporale, e una moltiplicazione di universi che lo fa aderire allo stile del postmoderno: si vedano ad esempio le numerose storie che Rick racconta a Lenore che amplificano i significati del racconto e semplicemente ne disperdono la dimensione spazio-temporale, restituendoci la dimensione della vita vera, e sviluppando quel "realismo isterico" (come giustamente afferma nell'introduzione Stefano Bartezzaghi), che sarà caro a De Lillo e J.C. Oates.
Non ho voluto soffermarmi sulla trama per non svelare troppo del romanzo e lasciare che la curiosità di leggerlo rimaga viva in voi!
Al termine di questo estenuante excursus,
Vi lascio e vi auguro una buona lettura!

Mettiamo che Nonna mi abbia detto in maniera parecchio convincente che tutto ciò che davvero esiste della mia vita è limitato a quello che se ne può raccontare. [...] Be', credo che non sia esattamente che la vita va raccontata anziché vissuta; è piuttosto che la vita è il suo racconto, e che in me non c'è niente che non sia o raccontato o raccontabile. Ma se è davvero così, allora che differenza c'è, perché vivere?

Maria Cozzupoli




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